martedì 28 febbraio 2006

Ballerina da camerino


Allora cominciai a ricordare tutti i passi del Papavero di Morricone. Come quando ero piccina e rimanevo in casa da sola, alzai le braccia come fossero leggere ali e chiusi gli occhi. Cosí dimenticavo. Cosí davo fine ai miei desideri. Nel giro. Immaginavo un'altra vita, nella quale le passioni di quella attuale non esistevano, e non esisteva piú niente, nemmeno la stanza. Solo esistevano le note e le punte dei miei piedini. Stranamente non finivo mai a sbattere da nessuna parte, nonostante girassi e rigirassi nella dolcezza dello splendore musicale.
La musica era mia madre che veniva a consolarmi e carezzarmi di candore. Non sognavo mai nemmeno un compagno di ballo, perché lí in quel momento stava l'assoluto. C'ero io. Che di solito non c'ero mai, sempre rapita da questo o da quell'altro pensiero. Ma lí non ci arrivavano i mostri della mente. Lí sentivo tendere i muscoli delle cosce e dei polpacci per rimanere danzerina in quel tutú rosa antico dei sogni, nello sforzo di chi non si é mai allenato.
Ed entravano i violini, dolci come l'impollinazione, accompagnando quella gioia di chi non spera. Di chi non ha nient'altro che quel momento, e non si puó permettere di pensare a quando finirá.