lunedì 26 aprile 2010

Ipazia di Alessandria, di Rudolf Steiner

Fra gli altri discepoli dei misteri orfici vi fu anche quella simpatica personalità, che non ha tramandato ai posteri un nome esteriore, ma che chiaramente si mostra discepolo dei misteri orfici e della quale voglio ora parlare. Fin da giovinetto e poi per molti anni, questa personalità fu strettamente unita con tutti i discepoli orfici della Grecia; operò nei tempi che precedettero la filosofia greca e dei quali non si parla nelle storie della filosofia; quello infatti che si dice di Talete ed Eraclito è soltanto un'eco dell'azione esercitata prima d'allora, a loro modo, dai discepoli dei misteri. Tra di essi vi era colui del quale appunto ora parlo, discepolo dei misteri orfici e poi maestro a sua volta di Ferecide di Siro, quello del quale parlai l'anno scorso nel ciclo di conferenze di Monaco: L'Oriente alla luce dell'Occidente*.
Indagando nella cronaca dell'akasha noi ritroviamo l'individualità, vissuta in quel discepolo dei misteri orfici, reincarnata nel quarto secolo postcristiano. La ritroviamo nella sua reincarnazione, in mezzo all'affaccendarsi dei circoli di Alessandria, avendo in sé i misteri orfici tradotti in esperienze personali, certamente di specie altissima. È meraviglioso come tutto questo, nella reincarnazione, sia tradotto in esperienze personali. Quest'individualità rinasce sul finire del secolo quarto, quale figlia del grande matematico Teone; vediamo come nella sua anima riviva quello che, mediante l'osservazione dei luminosi rapporti matematici dell'universo, poteva sperimentarsi dei misteri orfici. Tutto ciò era adesso talento personale, facoltà personali; adesso questa individualità stessa abbisognava di un matematico per padre, al fine di ereditare certe doti, tanto personali dovevano essere tali facoltà.
Così volgiamo indietro lo sguardo verso tempi in cui l'uomo era ancora in comunione coi mondi spirituali, come per quel discepolo orfico; così vediamo una specie di proie¬zione di quell'individualità fra coloro che insegnavano in Alessandria tra il quarto e il quinto secolo. Questa individualità non aveva ancora accolto in sé nulla di quanto, per così dire, faceva trascurare agli uomini le deficienze dei primi albori cristiani, perché troppo vasta era ancora in quest'anima l'eco che risonava dai misteri orfici; troppo vasta perché ella potesse venire illuminata da quell'altra luce, dalla luce del nuovo evento del Cristo. Il cristianesimo, quale allora appariva per esempio in Teofilo e in Cirillo, in verità era tale che quella individualità orfica, dal carattere ora personale, era in grado di dire e di dare cose ben più grandi e più sagge che non coloro i quali in quel tempo rappresentavano in Alessandria il cristianesimo.
Tanto Teofilo quanto anche Cirillo erano invasi dall'odio più profondo contro tutto quello che non era cristiano-chiesastico nello stretto senso in cui entrambi questi arcivescovi lo avevano afferrato. Per loro il cristianesimo aveva assunto un carattere talmente personale, che essi assoldaro-no delle truppe personali. Da ogni parte si raccoglieva gente, destinata a formare quasi una guardia del corpo degli arcivescovi. A loro premeva il potere, nel senso più personale. Ciò che li animava era l'odio contro ogni tradizione di tempi antichi, che pure era tanto più grande dell'immagine contraffatta in cui si mostrava la luce nuova. Un odio profondo viveva nelle autorità cristiane di Alessandria, specialmente contro l'individualità rinata del discepolo orfico. Non ci sorprenderà quindi che contro l'individualità orfica reincarnata si sollevasse la calunnia di esser dedita alla magia nera. Bastò questo per aizzare contro la figura sublime e unica del reincarnato discepolo orfico tutta la plebaglia dei militi assoldati. Quella donna era ancora giovane, ma nonostante la sua giovinezza, nonostante le molte difficoltà che anche allora si opponevano a una donna che seguisse un lungo corso di studi, ella era ascesa a quella luce che poteva splendere più fulgida di ogni sapienza, di ogni conoscenza di quei tempi. Ed era mirabile come nelle aule scolastiche di Ipazia* - tale era il nome dell'orfico reincarnato - giungesse agli uditori entusiasti la sapienza più pura, più luminosa di Alessandria. Ella costrinse ai suoi piedi non soltanto i vecchi pagani, ma anche cristiani di profondo sapere e di acuta penetrazione come Sinesio*. Ipazia di Alessandria esercitava un influsso potente; in lei risuscitava l'antica sapienza pagana di Orfeo tradotta nell'elemento personale.
Il karma universale agiva veramente in modo simbolico. Tutto ciò che costituiva il segreto della sua iniziazione appariva ora realmente come proiettato sul piano fisico. Tocchiamo con ciò un evento che opera simbolicamente e che è rilevante per molte cose che si svolgono in tempi storici; tocchiamo uno di quegli eventi che apparentemente sembra soltanto una morte di martire, ma che invece è un simbolo in cui si esprimono forze e significati spirituali.
Un giorno del marzo 415, Ipazia cadde in preda al furore di coloro che attorniavano l'arcivescovo di Alessandria. Volevano a ogni costo disfarsi della sua potenza spirituale. Le orde più incolte e più selvagge vennero raccolte anche nei dintorni di Alessandria e aizzate contro di lei. Sotto falsi pretesti andarono a prendere la savia vergine, la fecero sali-
re in una carrozza, e a un segno dato la plebaglia furiosa si gettò su di lei, lacerandole le vesti; la trascinò poi in una chiesa e alla lettera le strappò le carni dalle ossa. Venne scarnificata, fatta a pezzi, e i brandelli del suo corpo vennero ancora trascinati in giro per la città dalla folla disumanizzata dalla passione. Tale fu il destino della grande filosofa Ipazia!
Qui troviamo accennato in un simbolo qualcosa che ha profondi nessi con la fondazione di Alessandria da parte di Alessandro Magno, quantunque il fatto avvenga soltanto molto dopo la fondazione della città. Esso rispecchia importanti segreti del quarto periodo postatlantico, ricco di eventi tanto grandi e importanti, che con un simbolo così poderoso, in un modo così paradossalmente grandioso, pone davanti al mondo persine quel fatto nel quale deve palesarcisi la dissoluzione, la dispersione delle cose antiche: l'eccidio di Ipazia, la donna più importante, vissuta fra il quarto e il quinto secolo della nostra era.